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sabato 10 dicembre 2016

Avvento #10



NessunDove, Neil Gaiman


Il Gran Salone era ingombro di candele. C'erano candele accanto ai piloni di ferro che sostenevano il soffitto; candele in attesa vicino alla cascatella che scendeva da un muro e nel piccolo stagno scavato nella roccia sottostante; candele raggruppate ai lati del muro di roccia; candele ammassate sul pavimento; c'erano candele nei candelabri che facevano ala alla grande porta tra due neri piloni di ferro. La porta era realizzata con liscia silice nera inserita in una base d'argento che si era scurita con il passare dei secoli, diventando quasi nera anch'essa. Le candele erano spente, ma al passaggio dell'alta figura guizzanti fiammelle prendevano vita.Nessuna mano le aveva toccate, nessun fuoco aveva sfiorato i loro stoppini.
L'abito della figura era semplice e bianco; o più che bianco. Un colore, o un'assenza di colore, così luminoso da far trasalire. Aveva i piedi nudi sul freddo pavimento di roccia del Gran Salone. Il viso era pallido, saggio e gentile; e, forse, un po' malinconico.
Era molto bello.
E in un attimo, tutte le candele del Salone erano accese. Si arrestò presso lo stagno nella roccia; si inginocchiò vicino all'acqua, mise le mani a coppa, le tuffò nel liquido cristallino e bevve. L'acqua era molto fredda, ma anche molto pura. Terminato di bere chiuse gli occhi per un istante, quasi stesse benedicendo. Quindi si alzò e se ne andò per dove era venuto, attraversando il Salone; e quando passava le candele si spegnevano, come avevano fatto per decine di migliaia di anni. Non aveva ali, eppure era senza alcun dubbio un angelo.
Islington lasciò il Gran Salone, anche l'ultima candela si spense e tornò il buio.

venerdì 9 dicembre 2016

Avvento #9



Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, J. K. Rowling

 

-Lumos- mormorò Harry, e una luce abbagliante apparve sulla punta della bacchetta. La tenne alta sopra la testa, e l'intonaco incrostato di ghiaino del numero 2 all'improvviso prese a brillare; la porta del garage scintillò e Harry scorse distintamente il vasto profilo di qualcosa di molto grosso, dagli enormi occhi lucenti...
Harry fece un passo indietro, inciampò nel baule e cadde. La bacchetta gli sfuggì di mano mentre Harry allungava un braccio per attutire la caduta. Il ragazzo atterrò bruscamente nel canaletto di scolo...
Si udì un BANG assordante e Harry alzò le mani per ripararsi da un'improvvisa luce accecante...
Con un grido, rotolò sul marciapedi, apena in tempo. Un attimo dopo, un gigantesco paio di ruote sovrastate da due enormi fanali frenava bruscamente a pochi centimetri da lui.
Come Harry potè constatare, il tutto apparteneva a un autobus a tre piani di un viola intenso, appasro dal nulla. Le lettere d'oro sul parabrezza dicevano: Il Nottetempo.
 

giovedì 8 dicembre 2016

Avvento #8



La mano sinistra delle tenebre, Ursula K. Le Guin

 

Circa duecento anni fa nel Focolare di Shath alla frontiera di Pering c'erano due fratelli che si erano scambiati la promessa solenne di un reciproco kemmeri. In quei giorni, come ancora oggi, a due fratelli era permesso il reciproco kemmer fino a quando uno di essi non desse alla luce un figlio, ma dpo questo essi dovevano separarsi; così non era mai permeso loro di giurarsi il kemmer, ed essere kemmeri, per la vita intera. Eppure essi avevano fatto proprio questo.
Quando venne concepito un figlio, il Lord di Shath comandò loro di rompere il loro voto, e di non incontrarsi mai più in kemmer. Nell'udire questo comando uno dei due, colui che portava il bambino, disperò e non volle ascoltare conforto o consiglio, e procuratosi del veleno, si uccise.
Allora il popolo del Focolare si sollevò contro l'altro fratello e lo scacciò dal Focolare e dal Dominio, gettando sopra di lui la vergogna del suicidio. E poiché il suo stesso Lord lo aveva esiliato, e la sua storia lo precedeva, nessuno volle accettarlo, ma dopo i tre giorni di ospitalità tutti lo scacciavano dalle loro porte, come un fuorilegge. E così egli andò di luogo in luogo, fino a quando non vide che non era rimasta cortesia per lui nella sua terra, e il suo delitto non sarebbe stato perdonato.

 

mercoledì 7 dicembre 2016

Avvento #7


Lo Specchio dei Sogni, Stephen R. Donaldson

 

La storia di Terisa e Geraden iniziò pressappoco come nelle favole. Lei era una principessa chiusa in un'alta torre. Lui era l'eroe venuto a salvarla. Lei era l'unica figlia di un uomo ricco e potente. Lui era il settimo figlio del signore della Settima Marca. Lei era incantevole, dalla cima dei capelli neri che le facevano da corona sulla testa alla punta dei piedini dalla pelle bianchissima. Lui era bello e coraggioso. Lei era prigioniera di un incantesimo. Lui non conosceva la paura e, quanto agli incantesimi, era abituato a spezzarli.
Come in tutte le favole, erano fatti l'uno per l'altra.
Purtroppo, la loro vita non era semplice come nelle favole.
Per esempio, l'alta torre di Terisa era un grattacielo newyorkese di appartamenti di lusso, sulla Madison, a pochi isolati dal parco. C'erano due camere da letto - una delle quali era una "stanza degli ospiti", arredata da cima a fondo e mai utilizzata - un ampio soggiorno con un'impressionante vista a ponente, e poi una seconda camera da pranzo con un lungo tavolo di legno nero, lucido come uno specchio (che avrebbe fatto un figurone alla luce delle candele, se Terisa avesse avuto qualche motivo per accenderle) e il tipo di cucina con i mobili di linea moderna, immacolata, che fanno bella mostra di sè nei dèpliant degli arredatori.
Per l'appartamento, il padre di Terisa aveva speso quella che le persone presso cui lavorava la figlia avrebbero definito "una piccola fortuna", ma non ne rimpiangeva neppure un centesimo. Le guardie giurate che sorvegliavano l'ingresso al piano terreno e la televisione a circuito chiuso che controllava chi saliva sull'ascensore assicuravano a Terisa la massima tranquillità; e finché la figlia se ne fosse rimasta laggiù, lui non se la sarebbe trovata davanti, a girare passivamente per la casa, a fissare lui e i suoi amici con occhi grandi e castani, da vitello, che sembravano troppo inerti o troppo stupidi per capire davvero quello che lui vi leggeva dentro: la coscienza di non essere amata, che trasformava tutti i suoi doni e le sue attenzioni in un modo elegante per non occuparsi di lei. Perciò, il padre era stato felice di togliersela dai piedi.
 

martedì 6 dicembre 2016

Avvento #6





Il Re deve morire, Mary Renault

 

I mari attorno a Creta sono di un blu cupo, quasi nero, vuoti, nudi e tempestosi. Nessuno da noi aveva ancora percorso mari dove non si scorge mai terra. Qui l'uomo è veramente un granello di sabbia nella mano del dio. Ma nessuno, tranne noi, ne era sbalordito. La robusta sacerdotessa stava al sole, e cuciva, i marinai lustravano la nave; i soldati si ungevano d'olio le membra nere; ed il Capitano si pettinava i riccioli, con indosso la conchiglia dell'inguine e l'elmo cesellato a fiori di giglio.
Verso sera ci trovammo la brezza in fronte: ammainarono la vela e i vogatori si curvarono ai remi. La nave smise il rollio e cominciò a beccheggiare. All'ora di cena nessuno aveva più fame, tranne Meneste. Alcuni si sforzarono di mandar giù qualcosa, ma prima del buio rigettarono. Allora ci distendemmo sulla tolda e desiderammo la morte.
"Se domani è lo stesso", pensavo, "siamo finiti." Elice si lamentava, verde come gli occhi dell'anitra. Mi sentivo il corpo appiccicoso di sudore freddo. Mi si agitò il ventre e a tentoni mi avvicinai al bordo.
Quando fui svuotato, mi guardai intorno. Cadeva la sera. Il sole, inghirlandato di porpora, affondava nel mare lustro; ad oriente occhieggiavano le prime stelle, negli squarci delle nubi. Tesi la mano a Posidone, ma non mi mandò alcun segno. Forse era via, a scuotere la terra da qualche parte. Tutto intorno a noi io sentivo un'altra potenza, oscura, incomprensibile all'uomo, che dà desolazione o gioia, che carezza o respinge, ma non sopporta domande. Due gabbiani mi passarono accanto al volo, uno dietro l'altro, con strida selvagge, quello inseguito come se gridasse di vergogna. Mi sentivo debole e gelido e mi aggrappai al parapetto per non cadere. 
 

lunedì 5 dicembre 2016

Avvento #5


La Donna del Falco, Marion Zimmer Bradley

 

Romilda non ebbe il coraggio di rallentare l'andatura finché la luna non fu tramontata; cavalcò nel buio, lasciò che il cavallo seguisse la propria strada, e alla fine allentò la briglia e gli permise di procedere al passo.
Lei stessa ignorava dove si trovasse; sapeva che quando era giunta al bivio, ai piedi della collina, non aveva preso la strada a sinistra, che l'avrebbe condotta a Nevarsin: da quella parte, per Rory sarebbe stato fin troppo semplice ritrovarla. E adesso si era perduta: per sapere la direzione in cui si stava muovendo, avrebbe dovuto aspettare il sorgere del sole, che le avrebbe permesso di orientarsi.
Trovò una piccola macchia di alberi che offrivano riparo, tolse la sella al cavallo e legò l'animale a uno dei tronchi, poi si avvolse nel mantello e nella rozza coperta che aveva afferrato durante la fuga, e si infilò in una piccola cavità ai piedi dell'albero. Aveva freddo ed era indolenzita, ma riuscì a dormire, anche se continuò ad agitarsi nel sonno a causa di incubi in cui un uomo senza volto che era per metà Rory e per metà il Nobile Garris - no, assomigliava anche a suo padre - le si accostava con lentezza inesorabile... e lei non riusciva a muovere neppure un dito.
Di una cosa era certa, nel sogno: se Rory l'avesse avuta nuovamente a tiro, lei avrebbe fatto meglio a tenere pronto il pugnale. Ma qualcuno glielo aveva gettato nel pozzo della latrina, e lei non poteva cercarlo perché era vestita soltanto dei suoi stracci sporchi di sangue, e, per chissà quale motivo, nel prato dove suo padre teneva il mercato dei cavalli si stava proprio allora danzando per la festa del raccolto...
Fu destata dal cavallo, che sbuffava e la spingeva con il muso; il sole era alto e il ghiaccio sui rami si stava sciogliendo. 
 

#sonotuttestorie - PLPL 2016

#sonotuttestorie 
 
La mia è questa: dopo 14 anni da assidua frequentatrice, sarò presente (mercoledì 7 di persona, negli altri giorni sullo scaffale in ottima compagnia) con Il Duca di ferro a #piùlibripiùliberi
 
Grandissima emozione e tanta stima per Francesca Costantino che in pochissimo tempo è riuscita a creare questa squadra e a mettere in campo tanti libri bellissimi. 
 
http://www.astroedizioni.it/catalogo-libri/fantasy-romance/duca-ferro-the-iron-duke/
 
#astroedizioni vi aspetta allo stand T65. Parola d'ordine: #astrochilegge!

domenica 4 dicembre 2016

Avvento #4





Polgara la Maga, D. e L. Eddings

Prima che nostro padre ritornasse dalla sua missione in Mallorea, Beldaran era quasi esclusivamente mia. Ma poi le cose cambiarono. Ora i suoi pensieri, che un tempo dedicava solo a me, andavano spesso a quel vecchio furfante fradicio di birra, e io me la prendevo tremendamente.
Una sera, parlando nel linguaggio tutto nostro, osservò: «Non potresti almeno pettinarti, Pol?­­» Era ossessionata dall’ordine, e la mia indifferenza verso l’aspetto esteriore la disturbava parecchio.
«A che pro? È solo una perdita di tempo.»
«Hai un aspetto tremendo.»
«Chi se ne importa?»
«A me importa. Siediti, che ti do una sistemata.»
E così, divenne una specie di rituale che si ripeteva quasi ogni sera, e ammetto che mi rendeva felice, perché mentre Beldaran si dava da fare con i miei capelli concentrava tutta la sua attenzione su di me, invece di rimuginare su nostro padre.
In un modo tutto particolare, il risentimento ha plasmato l’intera mia esistenza. Ogni volta che lo sguardo di Beldaran si faceva cupo e distante, sapevo che stava pensando a lui, e non sopportavo la separazione implicita in tutto ciò. Forse è per questo che ho cominciato a camminare molto presto: dovevo sottrarmi alla malinconia di quello sguardo.
Questo mandò fuori di testa zio Beldin. Aveva messo un cancelletto alla sommità delle scale, ma non riusciva a escogitare una chiusura che io non fossi capace di aprire quando ero presa dalla smania di uscire. Avevo (e ho ancora, suppongo) una natura indipendente e non accetto ordini da nessuno.