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martedì 6 dicembre 2016

Avvento #6





Il Re deve morire, Mary Renault

 

I mari attorno a Creta sono di un blu cupo, quasi nero, vuoti, nudi e tempestosi. Nessuno da noi aveva ancora percorso mari dove non si scorge mai terra. Qui l'uomo è veramente un granello di sabbia nella mano del dio. Ma nessuno, tranne noi, ne era sbalordito. La robusta sacerdotessa stava al sole, e cuciva, i marinai lustravano la nave; i soldati si ungevano d'olio le membra nere; ed il Capitano si pettinava i riccioli, con indosso la conchiglia dell'inguine e l'elmo cesellato a fiori di giglio.
Verso sera ci trovammo la brezza in fronte: ammainarono la vela e i vogatori si curvarono ai remi. La nave smise il rollio e cominciò a beccheggiare. All'ora di cena nessuno aveva più fame, tranne Meneste. Alcuni si sforzarono di mandar giù qualcosa, ma prima del buio rigettarono. Allora ci distendemmo sulla tolda e desiderammo la morte.
"Se domani è lo stesso", pensavo, "siamo finiti." Elice si lamentava, verde come gli occhi dell'anitra. Mi sentivo il corpo appiccicoso di sudore freddo. Mi si agitò il ventre e a tentoni mi avvicinai al bordo.
Quando fui svuotato, mi guardai intorno. Cadeva la sera. Il sole, inghirlandato di porpora, affondava nel mare lustro; ad oriente occhieggiavano le prime stelle, negli squarci delle nubi. Tesi la mano a Posidone, ma non mi mandò alcun segno. Forse era via, a scuotere la terra da qualche parte. Tutto intorno a noi io sentivo un'altra potenza, oscura, incomprensibile all'uomo, che dà desolazione o gioia, che carezza o respinge, ma non sopporta domande. Due gabbiani mi passarono accanto al volo, uno dietro l'altro, con strida selvagge, quello inseguito come se gridasse di vergogna. Mi sentivo debole e gelido e mi aggrappai al parapetto per non cadere. 
 

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